Da fan numero uno di The Legend of Zelda, Breath of the Wild è stato un capitolo che ho amato meno dei suoi predecessori. Forse è per questo che il mio hype verso Tears of the Kingdom era praticamente nullo. Pur senza una particolare voglia di tornare a vestire i panni di Link, ho chiaramente acquistato il gioco al day one. Diverse fasi hanno scandito la mia nuova avventura a Hyrule. Ecco quali.
FASE UNO: NOIA
Le prime ore mi hanno annoiato. Le fasi iniziali, insomma, non sono riuscite a catturarmi a dovere sul lato del gameplay lasciando che le mie attenzioni si focalizzassero sull’ormai quasi anacronistico aspetto estetico. A livello grafico Tears of the Kingdom è praticamente uguale a Breath of the Wild (che giocai su Wii U). Non è un complimento, perché dopo sei anni e una nuova console ci si aspetterebbe qualcosa di più. Va bene, sappiamo tutti che Nintendo ormai punta su tutto tranne che sulla grafica, però un po’ dispiace perché il pensiero corre a come potrebbe essere uno Zelda di questo tipo con una qualità visiva paragonabile, per esempio, a quella di una grande esclusiva Sony. Sarebbe forse ora che Nintendo torni a concentrarsi anche (e ripeto: ANCHE) sulla grafica, proprio come faceva ai tempi del Nintendo 64/GameCube. Graficamente, comunque, Tears of the Kingdom resta gradevole.
FASE DUE: QUESTO È UN MORE OF THE SAME
Superato il prologo, una volta sceso dal cielo e aver raggiunto Hyrule, sono passato alla fase due: Tears of the Kingdom è un more of the same di Breath of the Wild. L’ho pensato di The Last of Us Parte II e di God of War Ragnarök, perché dovrei riservare un trattamento speciale a Zelda? Sì, ok, si sapeva dall’inizio della sua natura di sequel, ma una volta nell’esperienza concreta questa è stata la mia impressione e sensazione. In fondo, se ci pensiamo, è un evento mai accaduto prima nella saga. Senza scomodare i capitoli 2D, è da Ocarina of Time che la serie si rinnova, di capitolo in capitolo. Pur mantenendo la stessa struttura di base (fino a Breath of the Wild), ha sempre offerto esperienze totalmente differenti e nuove: dalle meccaniche al mondo di gioco, che non è mai stato riciclato. In Tears of the Kingdom accade quindi qualcosa di insolito per uno Zelda: la mappa e le meccaniche sono state ricalcate da Breath of the Wild. Questo ha ucciso parte del senso di scoperta e avventura che il capitolo precedente regalava. Vero: gli sviluppatori hanno lavorato per diversificare le ambientazioni rispetto al passato, ma non ci si scappa, la Hyrule quella è e quella rimane, restituendo quindi un senso di “riciclo facile” e di amaro in bocca. Tutto, davvero tutto, segue lo schema tracciato da Breath of the Wild: sotto certi punti di vista Breath of the Wild e Tears of the Kingdom sono esattamente lo stesso gioco, solo con una storia e delle missioni modificate per dare un tocco di novità. A poco sono contati i nuovi poteri di Link… per diverse ore non sono riuscito a scacciare questo pensiero dalla mente.
FASE TRE: CAPOLAVORO ECCEZIONALE
Più proseguivo nell’avventura, però, più venivo rapito dalla genialità di alcune soluzioni di gameplay, dalle continue storie in cui ci si imbatte, dalla miriade di segreti e misteri da scoprire, dalle novità che rinnovano l’esperienza (la mappa su tre livelli, i poteri, le piccole aggiunte e i tantissimi dettagli) e Tears of the Kingdom mi ha conquistato come solo poche opere sono in grado di fare. Ho ritrovato la qualità di uno Zelda, il piacere dell’esplorazione, il senso di scoperta e di libertà in un mondo vivo. Non è uno Zelda classico e, ahimè, probabilmente più ne vedremo, ma quello che abbiamo tra le mani ora è un gioco semplicemente eccezionale. Tornare indietro a Breath of the Wild appare difficile, segno che siamo dinnanzi a qualcosa di più di un banale more of the same. Ogni sessione regala nuove scoperte e ci sono alcuni picchi notevoli. Un esempio? Tutto il procedimento per riottenere la Spada Suprema: una figata pazzesca! Tears of the Kingdom costringe il giocatore ad azionare il cervello, a essere sempre curioso e l’esperienza non è caotica come negli altri open world dove spesso non si capisce nemmeno più cosa si sta facendo, perché e per chi. Tears of the Kingdom è cristallino, pulito, ordinato, chiaro, ogni cosa resta impressa nella mente. Ci sono alcune ripetizioni fastidiose nella storia principale a causa della sua natura libera (sorbirsi per quattro/cinque volte “lo stesso” filmato non è un granché) e nelle attività secondarie (come da tradizione del genere), ma è impossibile non lasciarsi travolgere dalla qualità dei contenuti. A lasciare un senso di delusione è ancora una volta la mancanza di dungeon degni di tal nome (mi mancano davvero tanto…). I “dungeon” si avvicinano molto più a quelli di Breath of the Wild che non a quelli dei vecchi capitoli, anche se il risultato è forse superiore (boss compresi). Sulla storia secondo me siamo su livelli decisamente migliori di Breath of the Wild e in un momento mi sono quasi commosso. La trama, insomma, è interessante e il combattimento finale con Ganondorf molto più epico di quello del capitolo precedente. L’unico appunto è… ma la Triforza? Che fine ha fatto? La Triforza deve restare un punto cardine di Zelda e invece è stata completamente snobbata. Peccato.
The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom prende tanto, tantissimo da Breath of the Wild, ma è anche un’esperienza più rifinita, più grande, rinnovata e sì: migliore, davvero migliore. Denso di contenuti, novità, segreti e attività, Tears of the Kingdom è un’opera ricca, bellissima, appassionante, soddisfacente, entusiasmante, epica e sotto certi aspetti (come la verticalità della mappa su tre livelli, le genialate di gameplay, la fisica, l’assenza di bug e la chiarezza dei contenuti) spanne avanti a qualunque altro gioco. È uno Zelda deludente? Sotto qualche specifico aspetto come i “dungeon” e mappa/struttura/colonna sonora “riciclate” sì, nel complesso no; è solo un altro Zelda diverso. Forse, per non “rimpiangere” le vecchie glorie, i super-mega-ultra-fan della serie come me dovranno giocare ancora qualche capitolo per abituarsi del tutto a questa nuova formula. In ogni caso, ci troviamo dinnanzi a un titolo di rara qualità, a tratti straordinario, poiché capace di sorprendere più volte il giocatore. Un’avventura non con la A maiuscola, ma gigantesca. E sull’epilogo il cuore si scalda, perché viene accolto dal calore di un’opera speciale, che invita a fare solo e soltanto una cosa: godersela il più possibile.
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