The Last of Us: la storia di Marlon

A proposito de Il Narratore Pessimista
Al misterioso narratore pessimista piacciono le storie… quelle brutte. Delizia (si fa per dire) i lettori con racconti brevi ambientati nel mondo di qualche videogioco. Si convince di scrivere storie degne di riconoscimenti letterari grazie ad una cornice di drammaticità e tristezza a palate, ma in verità è solo capace di dare vita a storielle di bassa lega. Tutte le sue storie hanno una caratteristica comune: finiscono male.

ATTENZIONE: Attenti a Quei Gamer non si assume nessuna responsabilità per l’infima qualità delle storie de Il Narratore Pessimista, né per le conseguenze nate prima, durante e/o dopo la lettura di quest’ultime.

Prima che l’apocalisse colpisse questo mondo ero un dottore, salvavo vite. Ora le tolgo. Non saprei dire con esattezza quando è iniziata la mia metamorfosi, quando mi sono trasformato nella persona che sono oggi. So solo che l’umanità non sembra avere alcuna speranza di essere curata. Non esiste cura per la morte che ci circonda. Non possiamo fare altro che conviverci, giorno per giorno, sperando di non esserne noi stesse delle vittime. Siamo sopravvissuti. Facciamo ciò che dobbiamo.

Io faccio quello che faccio per la mia famiglia. Mia moglie e mia figlia, nata poco prima che scoppiasse il casino, oltre vent’anni fa. Da quando l’epidemia è arrivata ho dovuto compiere scelte terribili per metterle in salvo. Scelte che non avrei mai nemmeno pensato di avere il coraggio di compiere. Ma dopo tanti anni anche la più brutta delle azioni diventa un’abitudine. Tutti quelli che sono sopravvissuti fino ad ora lo sanno bene, perché è proprio per questa ragione che sono ancora vivi. Il tutto si riduce ad una banale, quanto rigida verità: uccidi o sarai ucciso. Eppure non si può sintetizzare il comportamento umano in una frase così semplice. Le sfumature sono tante ed è proprio una serie di queste che mi ha portato dove sono ora. In un gruppo di cacciatori. Loro proteggono me e la mia famiglia. In cambio noi ci rendiamo utili. Ormai sono uno di loro: aiuto i feriti, sì, ma soprattutto procaccio il cibo, depredo, ammazzo, torturo, siamo noi contro il mondo là fuori.

Sono una persona orribile? Me lo chiedo spesso. Il solo pensare che ora, questa vita, mi vada bene così, mi rende un pezzo di merda? Sono state le circostanze a plasmarmi? O, in fondo, sono sempre stato così? Non ho una risposta. A volte penso che sarebbe meglio essere uno di quegli infetti.

Che stai scrivendo, Marlon?” – mi interruppe Carlos

Cosa?! Niente, appuntavo alcune cose per dopo

Certo, come no. Ora muovi il culo. C’è del lavoro da sbrigare

Sono tutti morti! Tutti morti, cazzo!” – gridò uno dei nostri di ritorno da una pattuglia

Di cosa diavolo stai parlando? Calmati. Chi è morto?”

Tutta la squadra. Le 76 sentinelle. Qualche turista del cazzo li ha uccisi tutti quanti!”

Merda. Hai parlato col capo?”

Sì. Vuole che ognuno mantenga la posizione e che controlliamo il cancello

Ok. Avete sentito. Cercate ovunque e non fate passare nessuno!”

Sentito?” – mi intimò Carlos

Già…”

Nuovo giorno, solita merda. Deve essere un gruppo di persone, pensai. Chi mai avrebbe potuto uccidere settantasei sentinelle da solo? No, impossibile. Mi misi a fare la ronda nella mia zona, aspettando che accadesse qualcosa. Perché ne ero certo: di lì a poco sarebbe sicuramente successo qualcosa. Strinsi la mazza da baseball con tutta la mia forza, preparandomi al peggio.

Qui niente” – riferii al mio compagno.

Non ricevetti risposta. Nessun segnale.

Carlos? Ma ci sei?”

Raggiunsi la postazione di Carlos. Lo scenario che mi si presentò fu fin troppo famigliare: Carlos giaceva in un edificio a terra senza vita, con evidenti segni di strangolamento. Non feci in tempo a controllare il cadavere che qualcuno mi afferrò per la gola. Doveva essere una sorta di strangolatore professionista. La sua presa fu micidiale, tanto da non permettermi di far uscire alcun suono dalla mia bocca. Proprio mentre stavo per perdere conoscenza, uno dei miei compagni vide la scena.

Oh, merda! È qui!”

Il bastardo strangolatore dovette mollare la presa, per evitare di essere crivellato di colpi. Feci in tempo a vederlo con la coda dell’occhio, mentre sparì dietro l’angolo di un edificio. Era un uomo ben piazzato. Possibile che fosse lui il responsabile della morte di tutti gli altri? Non potevo crederci, eppure un brivido mi scivolò lungo la schiena.

Setacciate la zona. Trovatelo!” – ci ordinò Marcus

Iniziammo a coprire ogni angolo, ma appena mettemmo piede fuori dal palazzo un proiettile colpì Marcus dritto nel cranio. Il suo sangue schizzò sui miei vestiti.

Cecchino!”

No, l’uomo non era solo. C’era almeno un’altra persona. Almeno una. Se da un lato trovavo questo pensiero rassicurante (diavolo, non avevamo a che fare con un super-eroe!), dall’altra non fu affatto una notizia tranquillizzante. Questa gente non scherzava, forse era persino più pazza assassina di noi. Restai nascosto. Sentii degli spari. Poi il silenzio. Calma. Io, però, non ero per niente calmo. Cercai di non fare casino, barricandomi nella stanza. All’improvviso udii un rumore alle mie spalle. Non feci in tempo a voltarmi che mi ritrovai una vampata di fiamme sul viso. Una dannata molotov! Fortunatamente ebbi abbastanza riflessi per uscire dall’edificio in tempo. Non abbastanza per evitare il cecchino. Mi colpì e caddi a terra. Il colpo non fu mortale, ma io feci finta che lo fosse. Sì, mi finsi morto.

Quello che vidi dopo mi pietrificò più di tutto il resto. Una bambina, una maledetta bambina e quell’uomo. Due persone all’apparenza insignificanti avevano decimato il nostro gruppo. Non riuscivo a crederci. La rabbia mi pervase. Vicino a me giaceva una pistola, caduta dalla mano di un mio compagno. Non dovevo fare altro che afferrarla. E lo feci. Controllai il caricatore. Solo un colpo. Avrei fatto saltare la testa a quel figlio di puttana. L’avrei fatto, ma poi mi ricordai. Di mia figlia. Non so se quello fosse suo padre oppure no, di sicuro lo sembrava. Vedevo nel suo sguardo un amore soffocato, un amore che io stesso avevo affogato nell’odio, nella violenza e nella morte. Eravamo tutti sopravvissuti in qualche modo. Decisi di non premere il grilletto, ma non per avere salva la vita. No. Forse fu solo il mio ultimo atto di compassione. Il mio ultimo atto di amore verso qualcun altro.

La ferita era più grave del previsto. Mi sentivo tremendamente debole, tanto che riuscì a fare solo pochi passi prima di perdere i sensi. Il buio mi avvolse.

In qualche modo, non so dopo quanto tempo, riaprii gli occhi. La luna sembrava baciare il mio viso. L’oscurità tutta intorno a me. Non potevo vedere, tuttavia, sapevo di non essere solo.

Click-Click-Click

L’agghiacciante suono dei clicker si fece sempre più vicino. Dovevo restare immobile. In silenzio. Il problema è che i cicker erano gentilmente accompagnati da qualche runner del cazzo. Li sentivo intorno a me, muoversi, farfugliare lamenti disumani. Erano vicini. Troppo vicini. Dovevo spostarmi o sarei morto. Riuscii ad afferrare la pistola con un solo proiettile. Avevo una mezza idea di come usarlo se le cose fossero andate male. Iniziai a strisciare verso qualsiasi direzione mi allontanasse da quei mostri. I versi degli infetti divennero più distanti, ma dovevo continuare a muovermi.

Sapevo che pochi metri mi separavano dalla salvezza… o dalla morte. Cercai di alzarmi per provare a camminare. Feci in tempo a fare una decina di passi quando la sorte decise di voltarmi le spalle. Il vetro della bottiglia che inavvertitamente urtai si sparse intorno a me generando un frastuono che riecheggiò nel silenzio della notte. Il rumore mi sembrò assordante. Ma mai come il rumore della morte che mi veniva incontro. Ero spacciato. Orde di infetti stavano per farmi letteralmente a pezzi. Impugnai la pistola.

Una volta salvavo vite. Ora le toglievo. In un certo senso la morte era l’unico modo per salvarmi da quella situazione. In una qualche visione poetica distorta, l’ultima persona che avrei salvato sarei stato io stesso. Misi il dito sul grilletto. Ero pronto.

Click-Click

Un clicker! Forse tentennai troppo, non lo so. So che un maledettissimo clicker mi squarciò la giugulare prima che potessi sparare.

Durante la colluttazione partì un colpo. Purtroppo non andò a segno. Il clicker continuò ad affondare le sue fauci nella mia gola, mentre alcuni runner iniziarono a squarciarmi l’addome, facendo fuoriuscire le viscere. Il sangue scorreva a fiumi. Con gli ultimi spasmi del mio dito premetti inutilmente il grilletto.

Click-Click-Click

Non ero riuscito a salvare nemmeno me stesso.

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