Approfondiamo alcuni elementi di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, di cui ho già scritto in un articolo con elogio finale.
Artisticamente bello, però…
Non ci sarebbe bisogno di precisarlo, ma è sempre meglio farlo: Switch è una console di scarsa potenza quindi vederci girare un gioco come Tears of the Kingdom è un mezzo miracolo. Tuttavia, è inutile negare che alcuni aspetti come texture e mole poligonale facciano abbastanza cagare. Un esempio? Le montagne sono imbarazzanti. Si poteva fare di più? Probabilmente no. Alcuni non sentono il bisogno di una console più potente? OK. Dal canto mio, godrei molto nel vedere un Tears of the Kingdom su una console Nintendo che per mero impatto visivo sia in grado di rivaleggiare con le altre piattaforme. Sono d’accordo sul fatto che il gameplay sia più importante e che Nintendo abbia comunque sfornato un’opera sotto alcuni aspetti più avanti della concorrenza (come la fisica). In un certo senso, Tears of the Kingdom è la dimostrazione che contano più le idee e le capacità, che la mera potenza. Allo stesso tempo, però, anche la bruta potenza ha la sua importanza e ritengo che aggiornarsi ai tempi attuali sia cosa buona e giusta, altrimenti staremmo ancora giocando con il NES (e non me ne vogliate, ma in quel caso, forse avrei smesso di giocare da un bel po’). Bisogna andare avanti e, in questo senso, Nintendo non lo sta facendo. Il punto è: questi sfornano una roba così su Switch, ma vi immaginate cosa avrebbero potuto tirare fuori da una console più potente? Peccato.
I dungeon… non sono dungeon
Ognuno ha la sua opinione e la sua visione di cosa è o non è The Legend of Zelda, ma gli iconici dungeon sono sempre stati uno degli elementi cardine della saga, sin dal 1986. Come scrivevo nel 2017 riguardo Breath of the Wild, è vero: la serie è in parte tornata alle origini per quel che riguarda il senso di esplorazione e scoperta del mondo, tuttavia propone anche una nuova formula che non a tutti i fan va a genio. Personalmente parlando, dato che ho iniziato con il capolavoro per Nintendo 64, sono legatissimo a tutti i capitoli 3D e molto meno a quelli 2D/portatili (che ho sempre ritenuto, per gusto personale, inferiori e, da OoT in poi, meno importanti nell’economia generale). E un Gioco come Ocarina of Time all’epoca regalava esattamente questo: libertà, scoperta, sorpresa, un mondo vivo… e dungeon fantastici! Majora’s Mask era ancora più vivo, peccava solo di quantità di dungeon, ma non in qualità; The Wind Waker non avrà i dungeon più belli della saga, ma almeno li ha e niente regalava un senso di libertà come partire a vela spiegata per il mare; Twilight Princess ha dungeon eccezionali e Skyward Sword forse gli è pure superiore. Il grande difetto di Skyward Sword era proprio quello di abbandonare la vastità e la libertà di un mondo aperto, di non lasciarci vivere quel mondo, eppure riusciva a essere lo stesso uno Zelda magnifico. Ora sembra quasi che Aonuma e compagni si “vergognino” dell’approccio più o meno lineare che aveva la serie, ma perché? Lineare non è sinonimo di brutto o scadente. Inoltre, tranne l’eccezione di Skyward Sword, in ogni Zelda io la libertà di esplorazione e il gusto della scoperta li ho sempre percepiti comunque, che fosse partire per il mare aperto o al galoppo di Epona (Skyward Sword è davvero l’unico caso che in tal senso fu davvero difficile da digerire). Zelda è SEMPRE stato amore per l’esplorazione. Breath of the Wild e Tears of the Kingdom accentuano questa sensazione, ma si “dimenticano” (probabilmente di proposito) di darci anche l’altro lato della medaglia: i dungeon, anch’essi parte dell’esplorazione e della scoperta e metà del cuore di Zelda. Purtroppo, per quanto non si possa considerare un vero e proprio difetto dei giochi, da fan della saga, è l’aspetto che mi restituisce maggior tristezza e rammarico.
Le ripetizioni a nastro e il riciclo
Questo lo considero forse il reale difetto (e unico?) di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom. Ci sono troppe attività ripetute fino alla nausea: dai semi korogu al tizio dei cartelli fino alla struttura esplorativa del sottosuolo/cielo e di alcuni sacrari/missioni secondarie, senza dimenticare il filmato ripetuto per quattro/cinque volte nella main quest. Il rischio è quello di stancare il giocatore. In questo senso, magari sarebbe stato meglio eliminare qualche contenuto o coprire certe parti di mappa con missioni più interessanti. Non è nulla di tragico, per carità, perché data la filosofia alla base, quella di libertà assoluta, il gioco non ci costringe mai a fare niente contro la nostra volontà, tuttavia un po’ infastidisce lo stesso. Anche l’aver riciclato Hyrule e la struttura di Breath of the Wild è una cosa che non mi è piaciuta. A conti fatti, data la natura tripla del mondo, non è un problema invalidante, ma da uno Zelda ci si aspetterebbe comunque qualcosa di diverso.
Il pelo nell’uovo
Non mi piace che le armi si rompano, ma è una meccanica che accetto, ha un suo senso ludico (la Spada Suprema, però, resta la mia preferita). Non mi piacciono le compenetrazioni delle armi con il terreno (quando le allunghiamo attaccandoci qualcosa). Da vedere è bruttissimo, una caduta di stile. Non mi è piaciuto il centro di assemblaggio golem nella missione I Cinque Saggi (quello in cui bisogna assemblare il golem per capirci), con relativo potere di Mineru: macchinoso, lento e inefficace da usare. Non mi piace che la Triforza non sia presente nella storia. Non mi piacciono i continui versi da cretini che fanno i personaggi durante i dialoghi, ma è nello stile di Zelda, quindi tocca far finta di niente. Certo, se magari avessero tolto questa cosa invece che i dungeon, forse sarei stato più contento…
CAPOLAVORO!
Al netto di quanto detto finora, ritengo The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom un titolo incredibile, a mio parere superiore in tutto al suo predecessore. Resta un’opera geniale e a tratti sorprendente. Un vero capolavoro!
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