Difficoltà. Una parola che può generare sentimenti contrastanti. Ostacolo. Problema. Paura. Avversità. Frustrazione. Ma può anche riportare a sensazioni positive. Appagamento. Obiettivo. Soddisfazione. Volontà. Orgoglio. Abilità. I giocatori lo sanno bene. Per dindirinmiao, se lo sanno bene. Si barcamenano tra queste emozioni da tempo immemore, lasciando che si scontrino tra loro mentre affrontano avversari potenti, salvano mondi, lottano per superare immani difficoltà, appunto. Per alcuni, tuttavia, non sembra essere più così e l’insoddisfazione nasce dalla semplificazione dei mondo moderno.
Difficoltà uguale Divertimento, siamo sicuri?
Alcuni spocchiosi e pelosi esseri umani videogiocatori ritengono che i videogame di oggi non siano degni del glorioso passato. Mao! Uno dei motivi è la massificazione del medium, il marketing e gli interessi commerciali dei grandi sviluppatori e distributori, che hanno portato alla rovina del gaming aprendolo sempre più alla massa. Indegna. Più indegna di un pelo di fondoschiena di gatto di periferia. Quale modo migliore per aprirsi agli spregevoli gatti medi? Spettacolarizzando e semplificando. Poveri “hardcore-gamer”, privati del loro divertimento. Sì, gattacci miei, l’equazione dei “veri” giocatori è la seguente: difficoltà uguale divertimento.
Lodi, lodi sperticate scivolano così giù dai bianchi baffi dei “saggi” e “veterani” quando sotto la lente della verità si palesano opere che richiedono il sudore di sette vite. Il sapore di vecchio riporta alle difficoltà dell’infanzia, quando anche leccarsi il pelo era arduo senza l’aiuto di mamma gatta. Frustrazione. Rottura di testicoli. Rotture di joypad. Embolie cerebrali. Perdite di pelo. Cadute di baffi. Affilamento di unghie su lavagne. Blasfemie rivolte a divinità inesistenti. Occhi rossi. Gastroenterite. Rigurgito di palle di pelo. Questo è il divertimento degli hardcore, miao! Più morti, più divertimento. Più soffri, più sei figo. Le cicatrici hanno il loro fascino, non si può negare.
Meglio facile?
Davvero la difficoltà determina il valore di un gioco? Meh-o. Molti sembrano esserne convinti. Il logoramento e il patimento dei vecchi e frustranti cabinati degli anni ’80 hanno lasciato un segno indelebile nella mente dei giocatori, cicatrici reali o comparse per osmosi. Il ricordo (anche solo quello degli altri) di un passato dove i videogiochi erano soprattutto sfida, prove di abilità. Bisognava essere realmente bravi per entrare in quella prestigiosa élite di gamer, ora scomparsa grazie ai maledetti causal. Eppur, sono un gatto pensieroso, e mi chiedo se in un mondo sempre pronto ad affossare il presente e ad esaltare il passato, non si tratti forse di uno dei tanti casi di catastrofismo inutile. E mi domando: i videogiochi erano davvero più difficili? Orgatto, sì, lo erano. La vera domanda, tuttavia, è un’altra: erano migliori? No.
Le ciofeche c’erano oggi come allora, questo poco o nulla si correla con la difficoltà. E si pensi a come in quei tempi sarebbero letteralmente impazziti nel sapere cosa abbiamo tra le zampe oggi. Miao, abbiamo giochi più semplici, a volte semplificati, ma ciò non vale per tutti e ciò non significa che siano peggiori a prescindere. La difficoltà, inoltre, rientra in un campo estremamente soggettivo. I vari livelli di difficoltà esistono apposta per soddisfare qualunque tipo di gatto videogiocatore: dal nabbo al padre di famiglia stanco e svogliato fino al pro-cat. Non sempre è così, verità (chi ha miagolato Assassin’s Creed?), ma chi è in cerca di sfida può sicuramente trovare pane per i suoi denti anche ai giorni nostri. Basta smettere di miagolare lamenti e guardarsi intorno. Ognuno dovrebbe trovare la propria personale difficoltà, quella che non rende tutto noioso, ma nemmeno costringe a strapparsi peli, tirare joypad o a lesionarsi. Eccetto per i masochisti.
La moda del momento
Io lo ammetto con tranquillità: le sfide non mi dispiacciono, sono pur sempre un gatto, ma c’è un confine che non deve essere superato. Quello della frustrazione. A quel punto preferisco il relax, il divertimento, le emozioni di una bella storia, il coinvolgimento e l’immedesimazione. Al diavolo la difficoltà! Invero, non è poi così importante come i saccenti videogiocatori vogliono far credere. Il videogioco, infatti, può veicolare e avere tanti volti diversi, non certo solo quello di strumento con cui mettersi alla prova o, peggio, mettersi in mostra. Il mondo – dei videogiochi – è bello, perché vario.
C’è comunque un istinto primordiale che continuerà sempre e comunque, fino alla fine dei tempi, a guidare il giocatore verso il bisogno di sfidare sé stesso e gli altri. Di dimostrare le sue capacità. Oggi è vero come allora, mao, la moda di Dark Souls vi dice niente? E l’online? In un mondo dove fa figo essere nerd senza neanche sapere cosa significhi, anche la difficoltà o presunta tale viene incensata da coloro che non ne sono o non ne erano degni. La massa. In fondo, un gioco come Dark Souls è diventato un fenomeno di massa. E allora va bene, finché c’è la moda, la moda di andare contro la moda, la volontà di sentirsi parte di un gruppo, fosse anche una nicchia. Perché i tempi cambiano, ma la gente, la gente rimane sempre la stessa…
“Facile, normale o difficile? Questo è il dilemma” – Joker, il Gatto senza Padrone
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Cazzo ti fumi Joker? 😀