Ebbene si, sono finalmente stato al Tokyo Game Show, onestamente è stato un mezzo caso, si passava per Tokyo e mi sono detto “toh è proprio domani“, insacco baracche e burattini e si parte. Vanno fatte molte premesse prima di dare la mia prospettiva.
Non erano i giorni della stampa, che si sa c’è molto meno casino, e con molto meno casino non parlo “dell’Europeo molto meno casino” ma “dell’Asiatico molto meno casino”, ovvero moltiplicando la popolazione per 1000. Fortunatamente il Giappone è rinomato per la sua ferrea organizzazione: composte file e una schiera di membri dello staff urlanti (che ti chiedono di metterti in composte file) sono il corollario di questo festival videoludico leggendario.
Questo è stato il mio primo Tokyo Game Show, le mie aspettative erano più alte di quelle dei poeti del romanticismo che effettuano il loro primo grand tour, quindi ci siamo capiti, se non lo avete capito, studiate capre capre capre! Aspettative deluse in parte. Per lo più proprio per questo motivo, non conoscendone le dinamiche, mi sono dovuto adattare al volo.
Detto questo, mi sento di poter dire per le seguenti 2 ragioni che il Tokyo Game Show mi è sembrata più che altro una festa di paese.
La prima ragione comincia con un “c’era una volta”, ovvero un po’ quello che festeggiavano in questa edizione al Tokyo Game Show, ovvero i loro 20 anni di fiera videoludica. Quindi è un “c’era una volta il Giappone depositario definitivo del futuro del gaming commerciale”. E qui si parla della ciccia, quella succosa, console che hanno fatto la storia come PlayStation 1-2 e le varie Nintendo, portabili e non fino alla Wii. Senza contare gli intermezzi storici come il Dreamcast, il Saturn, e va beh, la morale della favola è che il mercato è cambiato, Bill è entrato in scivolata e ci siamo un po’ tutti chiusi, vedi la console war. Quindi il Giappone ha fatto altrettanto, con la differenza che loro hanno già mezzo piede nella porta in quello che è il nostro triste futuro: I GIOCHINI DA SMARTPHONE.
Secondo motivo l’accessibilità ai contenuti, e la lingua “giocano” (affattolabbattuta!) un ruolo vitale nel rendere così locale, il TGS. Io so qualcosina ma ina ina di jappo e conoscendo qualcosina della cultura ho avuto questa impressione: Il TGS deve esistere, perché i jappi hanno bisogno di questo diverso, ordinato modo di esporre il videogioco. Di discutere, di condividere il lavoro svolto, di cantare con le Idol canzoni ridicole. Per certi versi, il loro modo di essere GAMER è molto più vincolato all’essere Giapponese che al semplice fare il gioco in lingua giapponese, è una prospettiva completamente diversa. È per questo che paragono alla festa di paese, se io vado alla festa degli anolini in provincia di Parma, e gli chiedo di servirmi dei tortellini, loro mi guarderanno storto (come ad ogni giappo a cui cerchi di parlare inglese) e anche se è della pasta con un ripieno, il Parmense dirà “ennobellomio noi li facciamo diversi“. Quindi quando vedi che quasi nessuno conosce l’inglese, e nulla di ciò che è scritto e detto è tradotto (se non le loro preziose norme di sicurezza e ordine pubblico) ti rendi conto che il TGS è una grande festa di paese.
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