“Dopo aver completato The Evil Within a sopravvissuto e alla temibile difficoltà AKUMU (un colpo e muori) posso dire che Shinji Mikami ha confezionato un’opera visionaria, malata, disturbata, dalla trama molto frammentaria e dai diversi punti oscuri, lasciati in sospeso da un finale per nulla chiarificatore e aperto a diverse interpretazioni. Ma se si ricompongono ordinatamente i cocci di questo mosaico surreale ci si accorge che sotto sotto una storia c’è e non è nemmeno così male. Ci si accorge poi che diversi elementi del gameplay apparentemente fini a loro stessi trovano un senso anche dal punto di vista narrativo. In un certo senso giocabilità e narrazione sono più coesi di quanto possa sembrare inizialmente. Peccato solo per alcuni personaggi, che dovevano essere approfonditi meglio e potevano essere caratterizzati meglio.
Psicologico e splatter, The Evil Within fallisce però nell’incutere timore, facendosi comunque apprezzare per la sua atmosfera, la sua vena onirica e la sua giocabilità tutto sommato coinvolgente, costruita sulle fondamenta di Resident Evil 4. The Evil Within è un titolo abbastanza vecchio stile… soprattutto sotto il profilo tecnico, a mio parere davvero pessimo. Mentre a livello di horror non basta qualche sezione ansiogena per mettere veramente a disagio il giocatore, la tensione va via via affievolendosi e superato il decimo capitolo il titolo ha già dato il meglio di sé. L’undicesimo è sicuramente la parte meno ispirata del gioco, in tutti i sensi. Poi riprende la via, ma con il freno a mano tirato, culminando in una battaglia finale decisamente interessante, ma che predilige la spettacolarità visiva all’aspetto ludico. Tuttavia, non mi è dispiaciuta affatto.
Nota sulla difficoltà: a mio avviso il gioco dà tutti gli strumenti per affrontare ogni situazione, ci sono due o tre punti particolarmente ostici (capitolo 6 e 11), ma nulla di improponibile o particolarmente complicato (ad AKUMU basta avere tanta, tanta pazienza e un pizzico di fortuna per superare qualche situazione). Nulla di nuovo sotto il sole, ma a mio parere il viaggio di Sebastian, pur con qualche caduta di stile, è di quelli che gli amanti del genere non dovrebbero assolutamente lasciarsi scappare. Un bel lavoro da parte di Tango Gameworks“.
Questo era un post che scrissi su Facebook nel 2015 dopo aver giocato The Evil Within. Nell’ultimo periodo mi sono dedicato al sequel, The Evil Within 2.
ATTENZIONE: SPOILER
Resident Evil Within 2
Shinji Mikami non è il director del gioco. Male? Bene? Indifferente? Onestamente non ho notato grandi cambiamenti. Ok, il primo titolo era più criptico, onirico e malato, ma a mio parere anche The Evil Within 2 si difende molto bene. Non ho voglia di star qui a discutere su quanto sia più o meno horror, se mette tensione o paura o altre cazzate assortite. Per me è un horror, non mi ha messo ansia, salvo qualche rara eccezione, soprattutto durante la run in modalità classica… Prima di arrivare a parlare della difficoltà più alta del gioco, però, un commentino sulla scia del post in apertura.
Dopo aver completato The Evil Within 2 in modalità classica posso dire che Tango Gameworks ha confezionato un’opera visionaria, anche se dalla trama decisamente più diretta e semplice. La storia resta interessante e si lascia seguire senza intoppi. Tuttavia, un po’ di delusione sotto questo aspetto c’è, essendo a mio parere alcune spanne inferiore al predecessore. Meno affascinante e intrigante, insomma, nonostante non manchino le buone idee e i buoni personaggi (come Stefano Valentini, decisamente meno il “prete”). Ho poi apprezzato molto la “soluzione registica” del capitolo finale, mentre ho trovato la brevissima sezione in prima persona inutile e senza senso. Malgrado un impatto iniziale negativo che mi ha fatto storcere il naso, alla fine promuovo l’idea dei (pochissimi) “capitoli aperti” che in parte hanno c’entrato il loro obiettivo: restituirmi un feeling alla Silent Hill. Ho apprezzato particolarmente le tre visioni con il fantasma, opzionali ma da citare assolutamente. L’atmosfera c’è, anche se forse non come nel primo, e il gameplay segue la scia dell’originale con qualche variazione interessante. Puzza un po’ di vecchio forse, soprattutto dal punto di vista tecnico, pessimo su più fronti, e in qualche occasione mi è sembrato (ancora una volta) di giocare a uno spin off di Resident Evil. Uno spin off riuscito per quel che mi riguarda. Piacevolissimo da giocare, The Evil Within 2 riconferma l’impressione positiva del predecessore. The Evil Within 3? Assolutamente sì!
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Classico è meglio… o forse no
Ma passiamo alle cose serie. Per raggiungere il platino ho giocato The Evil Within 2 circa quattro volte, ma in questa sede ci interessa solo una di queste run: quella in modalità classica. Facciamo una piccola, ma doverosa nota informativa… Cos’è la modalità classica? Niente autosalvataggi (alla morte si viene catapultati al menu principale), solo sette salvataggi manuali disponibili, non si possono potenziare le abilità di Sebastian e non si possono potenziare le armi. Risorse al limite indispensabile e nemici molto coriacei ovviamente. Che ve ne pare? Difficile? Facile? Diciamo che facile non è di sicuro, ma a questo genere di sfide io non mi tiro mai indietro. L’ho fatto con Dead Space 2 e Dead Space 3, Outlast e il terribile Outlast 2 e con The Evil Within e The Evil Within 2, per citarne alcuni. Allora formuliamo un’altra domanda: più facile la modalità AKUMU del primo gioco o la classica di questo? Non saprei. Sono perplesso. Forse perché sono ancora fresco di giocata direi che The Evil Within 2 mi ha fatto incazzare di più, ma se poi ripenso a come è finita, l’ho completato a classica senza nemmeno averne intenzione (poi ve lo spiego), direi che siamo lì. Sono difficoltà diverse, ecco. Poi chissene di ste cose. Parliamo di The Evil Within 2 e basta.
L’impatto iniziale è stato moderatamente traumatico. Nel senso che già dal capitolo 2 ho iniziato a pensare alla merda e alle crisi di nervi che avrei dovuto sopportare nei frangenti più fastidiosi dell’incubo. I nemici ti ammazzano con due-tre colpi, per agire con furtività ci vogliono un po’ di prove (ma qui non ne abbiamo visto che alla morte tocca ricaricare l’ultimo salvataggio, magari effettuato un’ora prima…), le risorse sono ridotte al minimo e in alcuni punti (più di quanto ricordassi) l’unica possibilità è far fuori tutti i mostri che ci sbarrano il passo. Ora, il fatto dei sette salvataggi non è nemmeno proibitivo, perché nel giro di cinque o sei ore The Evil Within 2 può essere portato a termine senza problemi (ancora meno alla difficoltà più bassa e con i bonus attivati). Pensando in quest’ottica basterebbe un salvataggio ogni ora di gioco e si è più che a posto. Ma non è così, perché ci si chiede spesso quando cazzo salvare. Prima di quel boss o di quella sezione? Bisogna conoscere bene l’avventura (YouTube in questo senso aiuta), ma ci sono molti passaggi in cui il titolo ti mette in difficoltà a ripetizione, facendoti venire voglia di salvare ogni dieci minuti. Questo è un problema. Non c’è altro modo: bisogna rischiare, provare, tentare di sopravvivere il più possibile. Se si muore, ci si arma di pazienza e si riprova, magari superando fasi tediose solo per avere l’occasione di riprovare a superare quel punto bastardo. Per poi magari morire ancora e ancora. Per poi magari superarlo e morire poco dopo per una cazzata, dovendo ricominciare da capo. A me è successo esattamente questo. A livello di tensione, che dire? La tensione c’è, rimane abbastanza costante, con dei picchi in alcuni punti e boss fight. Si gestisce abbastanza bene comunque.
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Capitolo 9 vaffanculo!
Sorvolando su qualche morte avvenuta tra il capitolo 3 e il capitolo 5 (il gioco conta 17 capitoli) che mi ha fatto abbastanza incazzare, la vera merda è arrivata con il capitolo 9 e il capitolo 10. Bio Parco! Tra il combattimento con i mostri di fuoco nella stanza e quello nella casa con Torres avrò perso una giornata intera di tentativi. Mai avrei pensato di bloccarmi così tanto in questi frangenti. A forza di muori e ripeti alla fine ce l’ho fatta, ma sinceramente ciò non ha fatto altro che rendermi più preoccupato per le parti successive, che ero certo si sarebbero dimostrate una spina nel culo molto più di questi capitoli…
Invece no. Temevo la boss fight con O’Neal. Superata al secondo tentativo. Temevo la sezione tra le fiamme con Hoffman mentre si viene accerchiati dai mostri di fuoco. Superata al primo colpo… poi sono morto subito dopo e ho dovuto ripeterla più di una volta, ma sono dettagli, il concetto è che non mi ha fatto per nulla dannare. Temevo gli scontri con i cari boss del primo capitolo. Battuti al primo tentativo. Temevo i mostri di pietra e quel mini boss prima della battaglia finale. Superati al primo tentativo. Temevo il boss finale. Sconfitto al primo tentativo. In effetti dal capitolo 11 in poi si è dimostrato tutto fin troppo facile. Non ci avrei mai sperato, tanto che (come dicevo) ho finito il gioco contro ogni previsione. Un secondo, però, devo dire una cosa che mi è venuta in mente. Cioè che la modalità classica a mio avviso mette in luce alcune sbavature che è facile sorvolare alle altre difficoltà. Tralasciando la legnosità di alcune cose, ho riscontrato alcuni problemi con i comandi. A volte sembra che al gioco non arrivi l’input giusto. Dico di ricaricare (premendo cinquanta volte al secondo il tasto di ricarica) e non lo fa, seleziono un oggetto dalla ruota e non lo usa, eseguo uno scatto e a un certo punto smette di correre. Robe di questo tipo insomma, robe che alla difficoltà classica possono costare la vita. Per non parlare del sistema di mira, forse andrebbe perfezionato. Alcune volte non si capisce dove finiscono i proiettili, sembra di aver colpito i nemici, ma non li becchi oppure risultano invulnerabili. Cose decisamente fastidiose. In alcuni casi ritengo di essere morto ingiustamente.
Vittoria facile
In ogni caso è andata così: arrivato alla boss fight con le vecchie conoscenze di The Evil Within ho deciso di salvare prima di affrontarle. Era il mio ultimo salvataggio, capitolo 14. Sapevo già di dovermi fare un dritto fino alla fine. Ad attendermi c’erano i suddetti boss, la sezione prima del boss finale e il boss finale. Nella mia testa ero strasicuro che sarei morto, perché ritenevo questa parte la più ostica di tutte, quindi tanto valeva spegnere, riposarsi e affrontare il tutto con calma in una successiva sessione. Prima di spegnere, tuttavia, mi sono detto: “Vabbè, facciamo una prova per avere un’idea e vedere fin dove arrivo, poi riproverò con calma dopo“. Non ce ne è stato bisogno, di riprovare. Ho ammazzato i boss di The Evil Within senza troppa fatica, sono quasi morto contro alcuni mostri di pietra, ma grazie a una discreta quantità di munizioni me la sono cavata e sono arrivato all’ultimo combattimento un po’ a secco. Per fortuna la boss battle finale è tra le più semplici del gioco e fornisce molte munizioni. C’è solo voluto un po’ di tempo (neanche tantissimo) e alla fine mi sono ritrovato davanti ai titoli di coda. Trofeo guadagnato. Sorriso in faccia. Impresa archiviata. Bene così.
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Facciamo un elenco dei miei salvataggi (non ricordo sempre il punto preciso). Dunque:
– Il primo salvataggio l’ho effettuato nel capitolo 3
– Il secondo l’ho fatto nel capitolo 4
– Il terzo alla fine del capitolo 6
– Il quarto dopo aver ammazzato Stefano (che fortunatamente ho abbattuto al primo tentativo) all’inizio del fottutissimo capitolo 9
– Il quinto salvataggio l’ho usato al capitolo 11, prima della sezione in cui recuperare il chip e della boss fight con O’Neal
– Il sesto subito all’inizio del capitolo 13 mi pare, per intenderci nel rifugio prima di dirigersi all’hotel per la sezione tra le fiamme (scelta saggia, tra l’altro, perché durante gli spostamenti in città mi hanno ammazzato)
– Il settimo nel capitolo 14 prima della boss fight con i vecchi amici
Non ho particolari consigli da dare a chiunque volesse provare l’impresa: andate di stealth ogni volta che ne avete occasione, non sprecate munizioni (ma va?), evitate i nemici quando potete, non andate nel panico, state calmi, siate decisi e sicuri, ma mai troppo, create le munizioni ai banchi di lavoro quando potete (richiedono meno risorse), prendete più chiavi possibili e le ricompense nel minigioco del poligono, rispettate il fucile a pompa (vi salverà il culo in più occasioni), ma soprattutto armatevi di pazienza. Alla fine, come dicevo nell’articolo sulla modalità Folle di Outlast 2 è solo questione di resistenza: si muore, ci si incazza un po’, si riprova e via fino a quando non ci si riesce. La differenza tra chi riesce e chi no sta solo nel fatto che chi riesce non si è dato per vinto e ha continuato a provare, chi non riesce si è arreso… ma va?
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