A proposito de Il Narratore Pessimista
Al misterioso narratore pessimista piacciono le storie… quelle brutte. Delizia (si fa per dire) i lettori con racconti brevi ambientati nel mondo di qualche videogioco. Si convince di scrivere storie degne di riconoscimenti letterari grazie ad una cornice di drammaticità e tristezza a palate, ma in verità è solo capace di dare vita a storielle di bassa lega. Tutte le sue storie hanno una caratteristica comune: finiscono male.
ATTENZIONE: Attenti a Quei Gamer non si assume nessuna responsabilità per l’infima qualità delle storie de Il Narratore Pessimista, né per le conseguenze nate prima, durante e/o dopo la lettura di quest’ultime.
Era una giornata come tante altre. I raggi del sole filtrarono dalla finestra illuminando parte della camera. Stropicciai gli occhi, mentre in sottofondo udii il solito frastuono della città. Raggiunsi il bagno per la minzione mattutina e subito dopo mi fiondai in cucina. Aprii il frigo ma non trovai nulla di attraente. Stessa cosa per la dispensa. Mi ero dimenticato di fare la spesa. Cazzo! Mi lavai di tutta fretta per non fare tardi al lavoro e uscii di casa fischiettando. Camminai per un isolato assorto nei miei pensieri. Assaporavo la promozione che avrei ricevuto a fine mese. Uno strano individuo mi distolse da questi bellissimi pensieri.
Stava correndo verso di me! Non feci in tempo a spostarmi che me lo ritrovai addosso. Cioè, mi venne addosso! Quasi caddi per l’urto. Quel maleducato, un giovane nero che sembrava appena uscito dal Bronx, non si scusò, ma anzi, mi urlò contro tali parole: “Fuck you, mother fucker!”. Infuriato, non resistetti alla tentazione di rispondergli: “Fuck off asshole!”. Neanche il tempo di pentirmi di quanto appena detto che vidi il suo pugno dritto sul mio naso. Caddi a terra. Sperai che il tizio scappasse via. Purtroppo, decise di prendermi a calci. Uno. Due. Tre. Quattro. Non so quanti furono. Alla fine mi colpì con un calcione in testa e persi i sensi.
SEI MESI DOPO…
Mi risvegliai all’ospedale. Malconcio. Poi scoprii di essere stato in coma per sei mesi. Dannazione: la mia promozione era svanita! Fu la prima cosa che pensai. Quando tornai a casa sembrava passata una vita. Il rumore assordante della città mi confortò. Ci volle un po’ di tempo, ma alla fine riuscii a rifarmi una routine. Una mattina mi alzai e trovai la dispensa vuota. Merda… mi ero dimenticato ancora una volta di fare la spesa. Fortuna che quello era il mio giorno libero, avevo trovato un nuovo lavoro come tassista. Salii in macchina e iniziai a guidare verso il market più vicino. Passai persino a un semaforo con il giallo. Mi sentii persino più ribelle di quando mandai a fanculo quel tipo. Nella mia mente iniziai a pensare che lo avrei investito… se solo lo avessi rivisto. Non feci in tempo a immaginarmi la scena che una macchina, passando con il rosso a un incrocio, mi centrò in pieno. L’incidente fu violento, ma non mortale. E per giunta non svenni nemmeno. Ero sotto shock, ma riuscii a vedere il pirata della strada, un uomo sulla quarantina (forse più) e dall’aspetto normale. Scese dalla sua auto e si precipitò di corsa verso di me. Credevo volesse aiutarmi, invece mi gettò fuori dalla macchina e me la rubò. Rimasi in mezzo all’incrocio, a terra, frastornato finché un’ambulanza non mi portò in ospedale. Avevo qualche costola rotta, ma nulla di grave.
OGGI
Oggi sto bene. È passato diverso tempo da quegli accaduti e sento di poter ricominciare a vivere. Persino la città, la mia bellissima Los Santos, mi appare più tranquilla e sicura di prima. Ho sentito e letto sui giornali tante storie criminali avvenute in questo ultimo periodo, come la grande rapina alla banca, ma per fortuna non ho più avuto disavventure. Credo che il peggio sia passato. La vita ora mi sorride. Finalmente.
Si sta facendo sera, devo andare a prendere un cliente nel deserto. Con il mio taxi. Non mi piace quella zona, ma la leggera e piacevole brezza che mi accarezza il viso mi rincuora ogni volta. L’aria è calda, accogliente. Si intravedono alcune stelle nel cielo limpido. È tutto perfetto.
Ecco il mio cliente. Che strano tipo. Un vecchio… no, un uomo di mezza età messo da culo, con pochi capelli, trascurato. Sembra proprio un disperato. Non faccio in tempo a chiedergli dove vuole andare che si presenta così: “I’m Trevor, son of a bitch. And you are dead!”. Non capisco cosa sta succedendo. L’uomo mi colpisce con violenza. Oscurità…
Oscurità. C’è solo oscurità intorno a me. Dove sono? È il taxi. Sono ancora nel taxi. Quel pazzoide se ne è andato? Cosi pare. Ma cosa diavolo? Non posso muovermi. Sono legato. Immobilizzato e ho in bocca uno straccio che puzza di merda. Sono in mezzo al nulla e nessuno può sentirmi urlare. Tranne lui. Quel figlio di puttana è ancora lì fuori. È saltato sul cofano del taxi. Mi guarda e mi sorride. È un pazzo. Un cazzo di malato mentale! Sta pisciando sulla macchina e ora… no, cosa? Sta facendo finta di pisciare tenendo una tanica di benzina in mano. Ne sta riversando il contenuto sulla mia fottuta auto!
Ha preso un fiammifero. No, no, no. Ti prego. Con un sorriso beffardo l’uomo lancia il fiammifero acceso sulla benzina. Una vampata si alza raggiungendo velocemente il taxi, che inizia a prendere fuoco. Mentre le fiamme mi riscaldano la pelle penso solo a quanto sono stato stupido a non lasciare questo luogo. Nessuno sano di mente resterebbe a Los Santos e dintorni. Ormai è troppo tardi per me. Sto morendo. Le fiamme mi avvolgono. L’auto si fa incandescente. La mia pelle arde e inizia a sciogliersi come burro al sole. L’uomo ride compiaciuto.
Fine.
Questa era la breve storia di un cittadino di Los Santos di Grand Theft Auto V, che ha fatto prima la conoscenza di Franklin, poi di Michael e infine di Trevor. Quando avete capito di che gioco si trattava?
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